Terremoto: viaggio a Pescara del Tronto, il paese che non c’è più
PESCARA DEL TRONTO (AP) – Terremoto, giorno 2. I numeri dettano legge mentre le ore che passano inesorabilmente corrodono di minuto in minuto la speranza di trovare persone ancora in vita sotto abitazioni, alberghi, nelle vie e nelle piazzette ridotte a un cumulo unico di macerie dal sisma che ha devastato il territorio tra Amatrice e Arquata del Tronto.
Pescara del Tronto la vedi da lontano. Dalla Salaria si sale di poco e dopo qualche curva il paesaggio desolato fatto di polvere e distruzione è un pugno che va dritto allo stomaco. L’auto bisogna lasciarla molto prima di quello che fino a due giorni fa era un centro abitato: per consentire in qualsiasi momento il transito dei mezzi di soccorso. Sono le 6 del mattino e già troupe arrivate da ogni parte del mondo hanno sistemato telecamere e cavalletti pronte a raccontare il dolore in tante lingue diverse: ci sono giornalisti che arrivano dalla Germania, dagli Stati Uniti, dalla Russia dalla Francia, dal Giappone.
Fino a poche ore fa, lungo questa strada si sono dati il cambio in una staffetta frenetica e in lotta contro il tempo ambulanze, mezzi dei vigili del fuoco arrivati da tutta Italia, auto di polizia e carabinieri, fuoristrada di protezione civile e gruppi di speleologi
Oggi a regnare è il rumore del torrente che scorre lungo la via principale. Niente più sirene, niente più elicotteri che fendono l’aria, niente più altoparlanti che richiamano l’attenzione per coordinare i lavori. Solo il silenzio lugubre e l’aria immobile come i detriti che coprono tutto. C’è qualcosa di definitivo in quei tetti che toccano il suolo, nei solai che che sono scivolati sopra i piani inferiori, crollati uno sull’altro, come un castello di sabbia.
“Qui non è L’Aquila – spiega un agente di Polizia – Là abbiamo trovato molte persone vive sotto le macerie perché i materiali con cui erano state costruite le case erano diversi, seppure carenti: davano la possibilità di creare intercapedini che consentivano alle vittime di respirare e resistere anche diverse ore. Qui è tutto tufo, che ti si sbriciola addosso. E’ come essere investiti da una valanga di sabbia. Non hai scampo”.
I soccorsi proseguono a ritmo serrato, ma la frenesia dei primi interventi lascia il posto alla consapevolezza che in molti casi non c’è più fretta. “Ieri è stato più facile – racconta un vigile del fuoco – perché le persone gridavano, tu le sentivi, correvi sul posto e iniziavi a scavare con tutte le tue forze. Oggi qui non grida più nessuno. Si va avanti verificando le possibili presenze, il numero di persone residenti che possono essere rimaste intrappolate. Ma non si può scavare dappertutto”.
“Quando siamo arrivati, a poche ore dalle prime scosse, abbiamo trovato una situazione impressionante, sembrava ci fosse stato un bombardamento – racconta un operatore del gruppo speleologi -. Intervenire in situazioni come queste ti segna profondamente. Ieri abbiamo scavato per 12 ore ininterrotte per tirare fuori dalle macerie una persona. Ma quando finalmente eravamo riusciti a liberarla dalla morsa dei detriti, ci è morta tra le braccia, uccisa dalla fortissima compressione a cui era stata sottoposta. Non avrà avuto nemmeno 50 anni. Scavi per 12 ore per vedere morire un uomo. E’ devastante”.
Una squadra di soccorso sta scavando vicino a quello che era l’ingresso di una casa che ora è rasa al suolo. La proprietaria è tra i dispersi. Forse è ancora lì sotto. Il sole sale in fretta e scalza il vento gelido che arriva dalle montagne. Di colpo è troppo caldo e la polvere si mescola al sudore.
Ci sono anche i militari: giovani, giovanissimi, i volti stanchi, gli occhi segnati da ore di sonno mancato. Assistono alle operazioni, tengono lontani i curiosi, presidiano insieme alle altre forze dell’ordine il territorio per difenderlo, anche, dagli sciacalli che qui come altrove non si sono fatti attendere. (Agenzia Redattore Sociale – Teresa Valiani, Foto: Giovanni Marrozzini)
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