Trattato di Dublino, addio
ROMA – Da marzo l’Europa potrebbe dire addio al contestato regolamento Dublino III, che disciplina quale stato ha la competenza di esaminare le domande di asilo e protezione internazionale, presentata in un paese dell’Unione europea da parte di un cittadino di un Paese terzo. Secondo il regolamento a farsi carico della richiesta (e dell’accoglienza) è il primo paese di approdo, cioè il primo paese in cui il cittadino straniero mette piede. Per quanto riguarda gli ingressi via mare, dunque, riguarda principalmente quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo come l’Italia e la Grecia. Ma nella prassi la regola è stata molto spesso violata dagli stessi migranti, che partendo con un progetto migratorio ben definito hanno evitato di farsi identificare all’arrivo per raggiungere la meta desiderata e solo lì chiedere asilo. Che il sistema vada rivisto sembra ormai chiaro a tutti, più difficile capire come farlo. Nel dibattito europeo si torna a parlare di quote obbligatorie ma secondo Christopher Hein, del Consiglio italiano rifugiati, “non si può prescindere dal fattore soggettivo: le persone non sono pacchi postali”.
Un regolamento inapplicato perché non prende in considerazione la volontà dei migranti. “Bisogna partire dalla causa principale per cui il sistema Dublino, incluso il recente regolamento Dublino III non ha funzionato – spiega Hein -: il motivo è che non prende minimamente in considerazione i legami e i desideri dei richiedenti asilo che arrivano. Non prende di conseguenza in considerazione che l’Italia e la Grecia sono considerati dai profughi paesi di transito, ma non c’è nessun interesse a rimanere nei paesi di primo approdo”. L’altra criticità secondo Hein è che non si può separare Dublino da Schengen, come invece è stato fatto finora. “Il regolamento Dublino disciplina lo Stato competente per la richiesta d’asilo, ma dopo che la decisione sulla richiesta è stata presa cosa succede? Succede che il rifugiato non può muoversi e spostarsi in un altro paese, per un minimo di 5 anni la persona è confinata, può solo spostarsi per 3 mesi come turista in un altro paese Schengen, ma non può lavorare né trasferirsi”
Il primo punto da cui partire per una revisione ragionata del regolamento è consideraare insieme Dublino e Schengen, lavorando anche sul mutuo riconoscimento tra i paesi. “In base alle interviste che abbiamo fatto sappiamo che per le persone non conta tanto dove sarà esaminata la richiesta d’asilo, quello che conta è dove potranno vivere – continua Hein -. La prima proposta di modifica è fare in modo che una persona, una volta riconosciuta titolare di protezione internazionale, possa liberamente stabilirsi in un altro stato membro. E’ nella sintesi quanto previsto nel meccanismo del mutuo riconoscimento delle decisioni in materia di protezione internazionale – aggiunge -: l’analisi della richiesta può anche essere fatta nel primo paese di arrivo ma il rifugiato, una volta riconosciuto tale, può spostarsi in altro stato membro dell’Unione”.
Di pari passo dovrebbe andare la modifica della direttiva del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti (ex Carta di soggiorno), che non riguarda solo i rifugiati, ma i migranti in generale e che, dopo cinque anni, (nel rispetto di alcuni criteri) permette di spostarsi in un altro stato. “Cinque anni oggi per un rifugiato è un periodo troppo lungo – sottolinea Hein -modificando la direttiva per lungo soggiornanti, si permetterebbe ai rifugiati e ai titolari di protezione sussidiaria di muoversi al massimo entro due anni dall’ingresso nel primo paese. Questo potrebbe facilitare molto la libera circolazione nello spazio Schengen”.
C’è poi il nodo delle quote, che però, vanno pensate secondo criteri rigorosi. “Oggi sul superamento di Dublino ci sono diverse proposte sul tavolo – spiga ancora Hein – quella per noi più auspicabile è che si lasci al richiedente asilo la possibilità di scegliere il paese dove andare. E’ chiaro che questo non è di facile realizzazione, perché troverebbe maggiore resistenza nei paesi del Nord Europa. Si può, dunque, pensare a un sistema misto: partendo dalle preferenze che espresse dai singoli e basate sugli effettivi legami che si hanno negli altri paesi. Non solo ricongiungimenti familiari, dunque, ma legami anche amicali. Già nel colloquio iniziale deve essere indicato sia la volontà di andare in un determinato stato che la motivazione”. Oggi le proposte sul ricollocamento si basano su alcuni parametri standard ma secondo il Cir questo sistema “può funzionare solo limitatamente perché non si prendono sufficientemente in considerazione i legami che una persona ha. Il fattore soggettivo va considerato, le persone non sono pacchi postali”.
Infine, secondo il Cir, il superamento di Dublino deve andare di pari passo con l’apertura dicanali di ingresso regolari per i richiedenti asilo: “una persona entra da un paese di transito con un regolare visto e va subito nel paese di destinazione. In questo caso non si presenterebbe più il problema dello spostamento all’interno dell’Unione europea – conclude Hein -. Il superamento di Dublino va dunque pensato in un ambito più ampio che riguarda Schengen ma anche le vie di accesso legali verso l’Europa”. (Redattore Sociale)