Tumori, a volte si muore per ingiustizia sociale
Roma – La salute, il bene piu’ prezioso che abbiamo, non e’ uguale per tutti. Basti pensare che anche nei Paesi dove il sistema sanitario nazionale e’ universalistico, compresa l’Italia, circa il 20% delle cause di morte per un tumore e’ dovuto all’impossibilita’ di curarsi e accedere alle cure per scarse possibilita’ economiche. “Immaginiamo cosa accade per esempio nei Paesi africani, dove noi lavoriamo- dice all’agenzia Dire il presidente dell’organizzazione umanitaria ‘Soleterre’, Damiano Rizzi – dove ci sono tassi di sopravvivenza del 10-15%, dove le persone vivono in baraccopoli e non hanno accesso agli ospedali perche’ non hanno soldi per pagarsi le medicine, che sono completamente a carico delle famiglie. A volte si muore piu’ per l’ingiustizia sociale che per il tumore”.
Ma anche nel nostro servizio sanitario nazionale, che pure e’ uno dei migliori al mondo, spiega Rizzi, gli investimenti che vengono fatti in salute “sono di circa il 30% piu’ bassi rispetto alla media europea. Non e’ un caso che le tre sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil di recente abbiano chiesto un incontro con il ministro Lorenzin, perche’ dal 2009 a oggi sono circa 40mila i professionisti venuti meno nel settore”. Secondo il presidente di ‘Soleterre’ in Italia c’e’ quindi un problema che riguarda la qualita’ delle cure dei pazienti “nella misura in cui i medici sono precari, gli psicologi non sono inquadrati e si fanno scelte politiche diverse- sottolinea- investendo per esempio meno in salute e di piu’ in altri settori. È normale che il livello delle cure ne risenta”.
Tornando ai tumori infantili, dovrebbe spettare ai medici una sensibilita’ maggiore per relazionarsi con i piccoli pazienti. Ma non sempre e’ cosi’. “Molto spesso i medici non sono messi nelle condizioni di avere questa sensibilita’- spiega Rizzi- perche’ chi sta sopra di loro, cioe’ chi si occupa della politica del personale, non bada alle condizioni in cui lavorano. Spesso si chiede quindi al medico quel sorriso e quell’empatia umana che sembrerebbe essere una caratteristica che gli altri hanno nella misura in cui la chiedono. Pero’ bisogna pensare che in alcune oncologie pediatriche, e noi lo vediamo perche’ siamo in parecchie di queste strutture, occorre fare in modo che ai medici siano date possibilita’ di lavoro tali per cui rimanga loro uno spazio cognitivo per avere sensibilita’ da distribuire”.
Aggiunge ancora il presidente di ‘Soleterre’: “Se i medici sono precari e devono fare contemporaneamente i manager, perche’ vengono meno i fondi, diventa poi difficile chiedere loro di fare anche gli empatici ad ogni costo. Anche se e’ certamente importante per il paziente ricevere un ‘buongiorno’ o un ‘buonasera’ e non soltanto delle cure. Spesso invece c’e’ un grande vuoto tra le cure e l’empatia umana, questa pero’ non e’ solo colpa o responsabilita’ dei medici, ma anche di una politica del personale che non bada a situazioni come il burnout che colpisce grandemente reparti come le oncoematologie”.
‘Soleterre’ intanto ha ideato un suo Programma internazionale per l’Oncologia Pediatrica (PIOP), costruito sull’esperienza in sei Paesi, Italia compresa, tre continenti, 10 ospedali e 300 medici per aiutare circa 18mila bambini malati di tumore. “Il PIOP sostanzialmente supporta o piccoli pazienti in modo che abbiano medicine, medici formati, ospedali attrezzati che funzionino, case di accoglienze e supporto psicologico per intervenire e curare nei migliori dei modi il loro tumore”, dice ancora.
Fa sapere infine Rizzi: “Grazie al nostro lavoro e a quello dei nostri partner abbiamo innalzato di circa l’8,5% i tassi di sopravvivenza in Ucraina e Africa dove oggi i bambini hanno il 58% delle possibilita’ di sopravvivere, mentre prima i tassi erano al 10%. Quello di ‘Soleterre’ e’ un grande lavoro, totalmente sulle nostre spalle e su quelle dei privati cittadini che ci vogliono aiutare, perche’ non ci sono fondi pubblici che lo fanno”. (DIRE)