(VIDEO) StopOpg, viaggio nelle Rems
ROMA – Sbarre alle finestre, ingressi sorvegliati da guardie armate e metal detector, ma anche strutture ben inserite nel contesto sociale e in collegamento con le altre realtà sanitarie o di salute mentale del territorio. Il nuovo mondo delle 30 residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (le Rems) sparse in tutta Italia, a Opg ormai chiusi, è ancora molto variegato. A raccontarlo è il viaggio, ancora in corso, del comitato nazionale StopOpg che da fine 2015 sta raggiungendo tutte le Rems attive per comprendere quello che sarà il futuro della riforma che ha portato alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Un percorso che ha visto il comitato visitare quasi i due terzi delle strutture aperte. All’appello mancano le Rems della Puglia, della Basilicata e le ultime aperte in Piemonte, Liguria e Marche. “Il viaggio ha permesso di accedere dei fari e rendere attraversabili dei luoghi che altrimenti, per mandato legislativo, potevano e possono ancora diventare quello che non vogliamo, cioè dei mini-Opg”, spiega Stefano Cecconi, di StopOpg.
Il quadro che emerge è contrastante. Se da un lato ci sono Rems che preoccupano, ce ne sono altre che sembrano funzionare davvero. “Sul territorio abbiamo trovato situazioni diversissime – racconta Cecconi -. Alcune Rems, come nel Lazio, hanno marcati tratti custodialistici: sbarre alle finestre, ingresso sorvegliato da guardia armata, metal detector, regolamenti piuttosto rigidi e magistrati che concedono permessi per le uscite con qualche difficoltà. Poi abbiamo trovato situazioni in cui le Rems, e nemmeno per un disegno particolarmente ragionato, sono strutture che non sembrano nemmeno Rems”. È il caso di Mondragone, L’Aquila e Trieste, spiega Cecconi. “Abbiamo trovato strutture inserite naturalmente nel contesto sociale, mescolate ad altre strutture sanitarie o di salute mentale – continua -. Situazioni in cui il regolamento è applicato con una prevalenza nettissima della parte sanitaria e il rapporto tra dipartimenti di salute mentale e la magistratura sono dialettici, collaborativi e non subiscono l’imposizione del magistrato. Situazioni in cui le persone vivono buona parte della loro giornata fuori dalla Rems o comunque in contatto con persone che vengono dalla comunità evitando di ridurre la Rems a istituzione totale”. Fa ben sperare anche l’impegno degli operatori. “Abbiamo trovato personale motivato – racconta Cecconi – e disposto a rimettere in discussione il proprio lavoro e quello che potranno diventare le Rems. In alcune c’è anche un alto numero di dimissioni, un turnover importante che segnala un buon rapporto tra Rems e dipartimenti di salute mentale”.
Con la chiusura degli Opg, però, il rischio di un calo d’attenzione è reale e preoccupa anche l’assenza di una regia nazionale, soprattutto ora che il Commissario unico per la chiusura degli Opg non c’è più. Il secondo mandato affidato a Franco Corleone, infatti, è scaduto nei giorni scorsi e non è stato prorogato proprio per aver raggiunto gli obiettivi fissati con la sua nomina. “Serve istituire a livello nazionale e far evolvere l’organismo di monitoraggio sul superamento degli Opg – spiega Cecconi -. Il loro superamento, infatti, non si risolve con la loro chiusura e nemmeno con l’apertura delle Rems. Bisogna istituire un organismo di monitoraggio e coordinamento formato da Regioni, ministero della Salute, della Giustizia, magistrature e società civile. Finché c’è stato il commissario c’era una figura unica che metteva insieme i diversi attori, ora è il ministero della Salute che ha la competenza, ma si intreccia con le funzioni del ministero della Giustizia. Pur essendo regolate da atti sanitari, la Rems sono influenzate dalle decisioni del magistrato. Per questo serve un organismo di coordinamento a livello nazionale”. (Agenzia Redattore Sociale)