Vuoi parlare con i defunti? Con l’avatar digitale adesso si può
Su FQ MillenniuM Alice Facchini racconta come creare interazioni realistiche tra una persona viva e una morta con l’intelligenza artificiale
Nel nuovo numero di FQ millenniuM in edicola da sabato 15 ottobre la giornalista Alice Facchini racconta come – tramite una app – sia possibile ricreare interazioni realistiche tra una persona viva e una morta. Si chiama HereAfter AI e genera una copia eterna dell’interlocutore con cui si può dialogare grazie all’intelligenza artificiale. Ci sono anche altre società che stanno sperimentando questa nuova frontiera. Intanto la statunitense Eternime, che chiede agli utenti di mettere a disposizione foto, post, messaggi, in modo che dopo il decesso il materiale venga trasformato in un avatar con cui chattare.
C’è poi la sudcoreana With me, un’applicazione che permette di parlare e fare selfie con i morti: basta scannerizzare la persona in 3D, per poi creare un avatar del proprio caro, facendolo comparire a piacimento nelle foto. Ancora, la Augmented Eternity: il progetto dell’imprenditore canadese Hossein Rahnama per creare un avatar digitale a partire dai dati che lasciamo ogni giorno in rete. Ma la app diventata più popolare è senza dubbio Replika Ai, nata nel 2017 dall’idea della startupper russa Eugenia Kuyda, che dopo la morte di un amico in un incidente stradale ha cercato un modo per farlo rivivere digitalmente. Ora Replika permette a oltre sette milioni di utenti di chattare con un’intelligenza artificiale capace di agire e reagire proprio come un essere umano realmente esistito.
HereAfter ha lo stesso obiettivo ma utilizza la voce: registrando una sorta di audio diario con aneddoti passati, consigli per il futuro, canzoni preferite, l’algoritmo crea un chatbot, ossia unsoftware che simula la conversazione umana, con cui dialogare tramite smart speaker, una cassa audio con cui interagire attraverso la voce.
Come spiegato nel mensile diretto da Peter Gomez, in Italia e non solo, si sta aprendo così il dibattito sulla cosiddetta “immortalità virtuale”: nella corsa tecnologica orientata al superamento della morte, quanto è etico che la personalità di un individuo sia trasferita in vario modo a un computer, per ricreare (fittizie) interazioni con chi non c’è più?
“Nel nostro Paese è ancora molto forte il tabù della morte”, spiega Davide Sisto, ricercatore dell’Università di Trieste e autore di La morte si fa social (2018) e Ricordati di me (2020). “Spesso le persone mantengono un atteggiamento scaramantico e non vogliono parlare di certe cose perché ‘porta sfortuna’. Manca una riflessione collettiva sul tema della memoria e c’è poca consapevolezza della difficoltà di gestire l’eredità digitale delle persone defunte: come si gestisce la casella di posta elettronica di chi non c’è più? Cosa succede ai suoi profili nei social network? Come si recuperano le password di servizi essenziali come lo Spid o l’home banking? Sono questioni molto concrete, che comportano difficoltà reali a chi rimane. Alcune start up hanno tentato di lanciarsi nel mercato tecnologico legato all’immortalità digitale, ma al momento non riescono a sfondare proprio per il timore di pensare alla morte”.